Werder, Haake Beck e tanta pioggia

di Matteo Di Giulio

Oggi è il 22 settembre 2017 e piove. A Bremen non è una novità. D’inverno e d’estate piove talmente tanto che appena uno spiraglio di sole fa capolino tra le fitte nubi tutti montano sulle proprie biciclette e corrono al parco. Sono qui da poco meno di una settimana e non mi sono ancora abituato a questo clima. Devo festeggiare però. Ho firmato da poco un contratto d’affitto che mi permetterà di trasferirmi in questa città nel Nord della Germania.
Ho molti dubbi, un po’ di paura. Non è una decisione facile.
Quando entro nel pub, il calore della stufa piazzata nell’angolo mi avvolge. Sorrido al barista, sorrido agli altri avventori. Sven, così si chiama il proprietario del locale, mi fa un cenno per indicarmi uno dei pochi posti liberi. Annuisco, gli chiedo di servirmi una birra.werderbremen
«Ein Haake Beck, bitte».
Il mio tedesco sa di ruggine, d’altronde lo studio solo da un anno, a Milano, la città in cui sono nato e cresciuto, quattro ore la settimana, per prepararmi a momenti come questo, in cui ordinare da bere si rivela la più difficile delle prove. La birra è fresca. È tipica di qui. Nessuno in Italia la conosce, non arriva nemmeno nel resto della Germania. È uno dei tanti piccoli segreti del nord.
«È libero qui?», mi chiede un ragazzo sui venticinque anni.
Indossa la sciarpa del Werder e un cappellino da baseball con la W verde ricamata. Uguale al mio.
Annuisco, anche se non posso dire di aver capito la sua domanda. Annuire e sorridere però funziona spesso. I dubbi aumentano. Al corso di tedesco non ti preparano per parlare davvero con la gente. Conosco la grammatica. So declinare un aggettivo in nominativo, dativo e accusativo, so che il verbo si mette alla fine delle frasi subordinate, ma ho quasi paura che qualcuno mi rivolga la parola. Non posso sorridere e annuire per sempre, eppure continuo a farlo.
Si spengono le luci. Si accende il videoproiettore.
È la sesta giornata di Bundesliga e al Weser Stadion arriva il Freiburg. Il Werder è penultimo, con due punti. Inizio disastroso, due pareggi e tre sconfitte, soltanto il Köln ha fatto di peggio. Il pub si chiama Orange ed è accogliente. Cerco sul dizionario online: in tedesco si dice gemütlich. L’Orange è gemütlich, mi ripeto nella speranza di imparare una parola nuova, mentre un altro avventore si siede al nostro tavolo. Gli sorrido e annuisco. Bevo un sorso di birra.
Non sono un tifoso di calcio, non lo sono mai stato, eppure qui a Bremen è impossibile non simpatizzare per questa squadra a cui tutta la città si stringe con affetto la domenica. Ogni pub ha una bandiera biancoverde e si sprecano gli adesivi sui lunotti delle automobili o sulle biciclette. Io mi ricordo quando il Bremen incrociò il Milan più forte di sempre in Champions League, era il 1989, e perse di poco. Il mio passato e il mio futuro che si incontrano, penso, mentre il cronista presenta la formazioni. Non capisco molto di quanto dice, però annuisco e sorrido a me stesso.
Nel Freiburg gioca un fantasista che si chiama Vincenzo Terrazzino e che a dispetto del nome è tedesco. Nel Werder vedo un volto noto, l’unico. È un volto triste, di chi sa che ha perso da tempo l’ultimo treno. Ishak Belfodil giocava nell’Inter quattro anni prima. Scatto una foto al telone e la mando al mio amico G., che è tifoso nerazzurro. Mi risponde sarcastico. La stagione del centravanti, in prestito dallo Standard Liegi, gli darà ragione: quattro gol e poca gloria. Il Werder non eserciterà l’opzione per acquistarlo. Sei milioni di euro. Li spenderà la squadra rivelazione del campionato, l’Hoffenheim, che chiuderà al terzo posto qualificandosi per la Champions. Belfodil tra i campioni. Nella prima giornata il Werder ha perso 1-0 in casa dell’Hoffenheim.
Io e il mio amico G. continuiamo a scambiarci messaggi. Sono indeciso se postare la foto del pub su Instagram o su Facebook. Alla fine la conservo nella memoria del cellulare: rimarrà soltanto mia. Il Werder gioca male, il Freiburg colpisce una traversa. Siamo quasi alla fine del primo tempo, è alta la probabilità di subire un gol da un momento all’altro, eppure il match finirà 0-0. Sorriderei, se avessi una palla di cristallo e potessi prevedere il futuro. Mi limito ad annuire, mentre il terzino del Freiburg, un turco dalla faccia di plastica che sarà poi ceduto al Leicester City per una cifra record, continua a fare a pezzi il suo rivale in maglia biancoverde.
Il Werder stenta, si capisce che anche quest’anno andrà male e che l’unico obbiettivo possibile sarà una difficile salvezza. Io bevo, sorrido, annuisco, ordino una seconda Haake Beck, bitte, scambio sguardi con gli altri tifosi nel pub, che resta caldo e gemütlich e in cui quest’anno tornerò molte altre volte per vedere il Weder giocare, vincere, pareggiare e soprattutto perdere.
La salvezza arriva soltanto alla terz’ultima giornata, dopo l’esonero dell’allenatore e troppe vicissitudini.

biciwerder

Domani è il 21 settembre 2018, un sabato, e il Werder scenderà in campo contro l’Augsburg, per la quarta di campionato. Grazie a un inizio promettente, il Bremen è tra le squadre rivelazione della Bundesliga. In tutta la città si parla di Europa League e di sogni a occhi aperti.
Ci credono: ci crediamo.
Vivo nel nord della Germania da quasi un anno e ormai penso di essermi abituato a questo clima. Guardo il cellulare. Undici gradi, vento forte. Stamattina erano quattro, il freddo penetrava nelle ossa. Anch’io adesso quando scorgo il sole che spunta tra le nuvole dense prendo la macchina fotografica, fotografare è il mio hobby, e vado al parco. Il parco più grande di Bremen si chiama Bürgerpark ed è un paradiso verde in cui perdersi è un piacere. Dal nostro appartamento dista meno di dieci minuti con la bicicletta. Ogni volta che percorro quel tragitto non posso fare a meno di voltarmi e guardare la traccia scura che spicca sul muro scrostato dove, fino a qualche mese prima, c’era l’insegna arancione del mio pub gemütlich.
L’Orange ha chiuso a luglio: per sempre.
Il proprietario non ha rinnovato il contratto d’affitto a Sven, perché i prezzi degli immobili salgono a vista d’occhio e vendere un appartamento oramai conviene di più che darlo in locazione. Guardo il cielo, le nubi nere non promettono niente di buono, poi fisso la bandiera del Werder che sventola da una delle finestre del secondo piano. Il cartello con scritto Haake Beck («Einmal, bitte») è ancora appeso. La birra sopravvive a tutto, anche alla pioggia e alla gentrificazione. Ora saprei dirlo in tedesco, che la birra sopravvive a tutto, anche alla pioggia e alla gentrificazione, e la mia pronuncia è migliorata molto; ma non c’è nessuno a cui poterlo dire, visto che il pub è chiuso. Vado sempre più in fretta, ho paura che l’acquazzone mi sorprenda.
Un ultimo sguardo all’Orange, un ultimo sorriso. Poi annuisco e pedalo via.
Il Werder vincerà 3-2 in trasferta. Scriverò al mio amico G. per dirgli che la città è in fermento. Lui mi risponderà sarcastico, ma riesco a percepire in ogni messaggio che ormai la simpatia per la squadra lo ha contagiato. Bremen è gemütlich, penso, mentre cerco le chiavi di casa.
Poco più tardi guardo fuori dalla finestra e senza rendermene conto sorrido. Non smette di tirare un forte vento, il vento proveniente dal Mare del Nord. Annuisco.
Qui, d’altronde, piove sempre.

[Matteo Di Giulio, scrittore di thriller storici, è nato a Milano ma vive a Bremen, nel Nord della Germania.]

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