Gli incontri calcistici di Guy Debord, dottore in niente

di Carlo Martinelli

Dove ci portano delle labili tracce, dunque? Nel progetto goliardico di giocare delle partite di calcio su un campo a tre porte, vive fors’anche lo spirito del dottore in niente, di Guy Debord? Nel 1967 quest’uomo è autore di un libro, La società dello spettacolo, dove descrive, con fotografica e chirurgica preveggenza, quel che stava succedendo e ancor più quel che sarebbe diventato il mondo: immenso accumulo di merci, sogni spezzati, la vita quotidiana in bilico tra la perduta innocenza, la poesia mai affermata, la banalità imperante, il trionfo dell’inautentico, il falso come momento del vero. debord
L’anno prima, nel 1966, una pantera nera, tale Eusebio, aveva seminato il panico nei verdi campi inglesi, teatro del Mondiale di calcio. In quello stesso 1967 la Juventus operaia di Heriberto Herrera, sergente di ferro di maoista memoria, vinceva uno scudetto impossibile.
L’anno dopo, il 1968, il maggio di Parigi. Sono – anche – le parole di Debord e dei suoi pochi, radicali accoliti, ad incendiare la Francia. «Abbiamo portato la benzina là dove c’era il fuoco», dirà, respingendo una saggezza che mai sarebbe arrivata.
Un gruppo di calciatori francesi occupa, in quei giorni, la sede della federazione. È una immagine rara, chi volesse la ritrova a pagina sessantaquattro di un libro di Angelo Quattrocchi, dal titolo romantico di E quel maggio fu: rivoluzione. Da una finestra spuntano due tizi, uno striscione recita: Le football aux footballeurs! Tradurre non serve.
Il resto delle tracce è quel che segue.
La notizia, mai smentita, di un viaggio di Guy Debord a Londra, agli inizi degli anni Settanta, per incontrare quelli di King Mob, gruppo rivoluzionario inglese. Debord capita a casa dei fratelli Wise. Trova uno di loro sdraiato sul divano, lattina di birra in mano. Alla tivù Match of the Day, forse Arsenal vs. Leeds. Debord se ne va, disgustato. L’incontro tra i situazionisti francesi e quelli inglesi finisce là, davanti alle immagini di una partita di calcio.
Nel settembre del 1955 viene pubblicato il numero 6 di Les Lèvres Nues, rivista surrealista destinata a influenzare non poco gli anni di là a venire. A pagina dodici vi compare L’introduzione ad una critica della geografia urbana di Guy-Ernest Debord, un testo che, di fatto, introduceva la deriva psicogeografica negli orizzonti di un asfittico dibattito tardo stalinista. In copertina una piccola immagine in bianco e nero. La fotografia – nell’indice della rivista indicata come Appassionata – di una squadra di calcio, la maglia potrebbe essere rossa e nera. Otto i giocatori che compaiono per intero. Di un nono, spunta solo un ginocchio. Del decimo un braccio. Il portiere c’è.

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