di Emiliano “el buitre” Fabbri
La preparazione a una partita è per me sempre meticolosa. Ancora oggi che sfioro il mezzo secolo, e invece che in campo vado in panchina da dirigente, cerco di non tralasciare nulla. Indosso con riguardo l’abito ufficiale, e mi pulisco le scarpe, rigorosamente nere, come quando passavo il grasso di foca sulle mitiche Copa Mundial. Il mio zaino è ordinato come il mio vecchio borsone, anche se ora contiene penna e cartellina.
Oggi è la giornata ideale per giocare a calcio. Piove. Quella pioggia che rinfresca la primavera e bagna il campo il giusto per far scorrere la palla con decisa delicatezza. Nulla a che vedere con i campi di terra battuta che calcavo da ragazzo, quando ogni scivolata, tra i sassi e le linee laterali in calce viva, era un rischio per la vita. Oggi il Garilli è un biliardo. Viene voglia di giocare. Vabbè, quella non è mai mancata, ma ormai il mio posto è lì nel mezzo. Nel mezzo della panchina. La sfida con l’Albinoleffe ha il sapore dello spareggio playoff. Dentro di me sale quella tensione che non mi ha mai lasciato da quando vivo in un campo di calcio. Quella tensione che condivido con compagni di squadra eccezionali.

Quando non sono passati nemmeno una decina di minuti, il Mago Cesarini decide di ribaltare le leggi della fisica. E della matematica. Con un colpo di classe che potrebbe essere nato in un arco di tempo che va da Shingo Tamai a Shaolin Soccer, scrive in rapida successione: il primo gol della giornata, il suo decimo stagionale, e il 101 della sua carriera. Un colpo di arte marziale di questa portata di solito si vede fare a Ibra, e siamo certi che se lo avesse fatto lui lo passerebbero in loop tutte le tv. Ma per fortuna lo ha fatto Alessandro, il nostro Capitano, che anche oggi ci ricorda che: Sin ’10’ no hay fútbol. La musicalità della partita non cambia per tutti i suoi novanta minuti e nel frattempo mister Scazzola fa alzare al buon Brizzolesi il tabellone per i cambi, lanciando sul prato bagnato Rillo, Lamesta e Dubickas. Ecco. Tenete a mente questi tre nomi perché torneranno nella stramba storia di questa partita. Noi continuiamo a tenere il ritmo, rischiamo poco e cerchiamo di segnare il secondo gol per evitare quelle sofferenze che troppo spesso in questa stagione abbiamo patito nei minuti di recupero. Intanto dal cielo di Piacenza schizzechea with love. Ma si sa. Acqua e sole cambiano la faccia alle persone. E anche alle partite. Così quando stiamo stringendo i pugni e guardando compulsivamente il cronometro, nella vana attesa che terminino i cinque minuti di recupero decretati dall’arbitro, il buon Martignago, col suo piede sinistro, scrive al volo il suo nome sul tabellino, fa urlare i dodicitifosi bergamaschi in curva sud, e fa cadere il nostro sguardo sui fili d’erba ormai fradici del Garilli. I miei di occhi cadono sul cronometro. C’è scritto 48. Il nostro sogno è svanito al terzo minuto di recupero. Quando li rialzo la palla è sul cerchio di centrocampo e di minuti, però, ne mancano ancora due. Quante cose possono accadere in due minuti? L’ultima speranza è trascinata dall’ennesima disperazione. Nel frattempo Pezzopane della sezione de L’Aquila continua a far giocare. Veramente giocano loro, forti dell’impatto emotivo avuto con l’insperato pareggio. Girano il pallone nell’attesa, ora loro, della fine. Mancano quaranta secondi ai titoli di coda quando Rillo recupera la palla e la passa a Lamesta, che chiude il triangolo lanciando il compagno sulla fascia sinistra. Mentre Rillo si invola sulla fascia, lentamente ci alziamo dalla panchina. Uno ad uno. Lo seguiamo nella sua corsa quasi spingendolo sul fondo. Quando col suo mancino crossa al centro le nostre bocche si spalancano a chiamare il nome di colui che in spaccata gonfia la rete: DUBICKAAAASSSS!!!!!!!
Gli attimi seguenti sono confusi e felici. Dubickas corre. Noi corriamo verso Dubickas. Un dirigente che sfiora il mezzo secolo fa uno scatto rischiando di cappottarsi sul prato bagnato del Garilli, per andare ad abbracciare Edgaras e tutti i suoi compagni di squadra. E tutto per passione. Perché in fondo, come diceva il Divino Paulo Roberto Falcao: “Il calcio è passione. Pioggia o sole, l’emozione del traguardo è ciò che ci muove”.