Solo spettacolo gli spettatori

di Delio Tessa

Mi avevano detto in Cordusio che per raggiungere lo Stadio bisognava prendere il 15, l’ho preso ed eccomi qui in un mondo nuovo per me. Mi guardo in giro: dov’è lo Stadio? Potrei chiederlo a questo manovale ma mi vergogno. Bisognerebbe fingere per lo meno un accento esotico ma così… un milanese a San Siro alla vigilia dell’incontro Italia-Inghilterra, che non sa dove dirigersi… eh via… Cacciato alle spalle da quel tambureggiamento ossessionante, mi affretto verso alcune piante ritte ai margini della prateria, sentinelle della campagna che vive al di là. Come se la nuvolaglia pesasse loro sul capo, reclinano i ciuffi verdi.tessa2
So – per sentito dire – che a destra c’è l’Ippodromo: ma questo recinto a sinistra con ingressi, biglietterie e tribune, cos’è? Un pelo e lo prendo per lo Stadio. Ma infine mi par troppo basso, troppo piatto, e mi ricredo a tempo. È il Trotter. […]
Lo spettacolo della moltitudine adunata è terrificante. La senti mutevole, infida, indifesa, esposta a tutti gli influssi. Un uomo raccolto in un suo pensiero vi è solo come in un deserto. Le squadre intanto escono e si allineano. Ho la certezza di esser l’unico che assiste al memorabile incontro completamente digiuno delle regole del giuoco e senza aver mai visto una partita di calcio. Dov’è l’area di rigore? Quali sono i terzini? Ho riconosciuto i portieri soltanto perché eran davanti alle porte. La mia ignoranza era così perfetta che nemmeno sapevo che al secondo tempo le squadre si scambiano i campi. Ritenendo le posizioni immutate per me gli Inglesi continuavano a vincere e invece perdevano. Ebbi per solo spettacolo gli spettatori. Prima che la partita incominciasse le gradinate dello Stadio erano color caffè e latte chiaro, il colore degli impermeabili, ma poi cos’è successo? È comparsa una tinta incarnato pallido, eran tutte facce, quelle migliaia di facce rivolte, come tanti fanalini da una parte. Cinque minuti dopo l’intervallo il pallore è scomparso e ha dato luogo a un rosa diffuso che in chiusura di partita si è andato fissando in un rosso vivo. Il sangue era salito alle teste congenstionando lo Stadio. Ho imparato così a contare i punti favorevoli dall’intensità della colorazione dei volti. Quando l’arbitro fischiò la fine credevo che la vittoria fosse nostra. Ma un signore, scendendo, uscì con questa frase: «Potevamo vincere se non fosse…» e allora… come mai – mi son chiesto – abbiam perso? Ho saputo poi che i campioni eran rimasti campioni e i maestri maestri. Il compiacimento generale, la soddisfazione di tutti potrebbe indurmi a trarre dall’esito una morale, ma le morali appartengono al mondo oggi defunto delle favole; la realtà le ha sepolte.

[Estratto da un articolo di Delio Tessa per «L’Ambrosiano» del 16 maggio 1939. Ringrazio Sergio Giuntini e Gino Cervi e il loro Milano nello Sport (Giunti, 2014), dal quale ho tratto questo gioiello. (G.R.)]