Alfabeto Vendrame. Omaggio a un Beautiful Loser [M-Z]

di Gino Cervi

M come Morte
Il pensiero della morte torna spesso nel Vendrame scrittore: «Ora che lo smarrimento mi supera, la mia solitudine è perfetta. Non ho più paura della morte, ma della vita». «Mi illumino di nero. Sono appena morto. E provo sgomento a guardare oltre il presente. In quest’ultimo anno la vita mi ha scorticato. La mia vulnerabilità è una sconfitta quotidiana. Desideravo fuggire dal mondo, attingere un po’ di felicità, mettere un piede in paradiso. E invece, senza essere capace di dichiarare guerra ai miei inferni, con il veleno dei miei giorni ho perso tutto» (da Calci al vento, 2005).

N come Napolitribuna
A Napoli, manca clamorosamente l’appuntamento con il “calcio dei grandi”. L’allenatore, Luis Vinicio, lo mette ai margini della squadra dopo poche partite. Ezio le guarda tutte dalla panchina o dalla tribuna, ma, come ha spiegato nel suo libro di maggior successo, la cosa lo fa godere. Probabile che in quell’anno a Napoli, Ezio abbia goduto davvero, una decina di anni di anticipo su Maradona. Dicono le cronache che gli bastava fare impazzire i compagni nelle partitelle di allenamento. E molte ammiratrici fuori dal campo.

O come Olmo di Creazzo
A Olmo, frazione di Creazzo, alle porte di Vicenza – capitale del broccolo fiolaro – l’antica trattora De Gobbi è stata, per sua stessa ammissione, la seconda casa di Ezio Vendrame. Da quelle parti si mangia uno dei migliori baccalà alla vicentina.

P come Piero Ciampi
Un grande amico di Vendrame fu Piero Ciampi, cantautore, forse poeta, livornese, altro “maledetto” della controcultura anni Settanta. Fu Ciampi a invitare Vendrame a scrivere poesie. Un giorno, durante una partita all’Appiani di Padova, Ezio ferma il gioco prendendo il pallone tra le mani per rendere omaggio all’amico che lo guardava dalla tribuna, dicendo che «il gioco del calcio diventa una cosa volgarissima di fronte ad un poeta come Piero».

Q come Quarantaquattromila lire
Durante il campionato di serie C con il Padova, alla vigilia di una partita con l’Udinese, Vendrame viene avvicinato da un esponente della società friulana – per la quale aveva giocato da ragazzino – con l’intento di convincerlo a giocar male, per favorire l’esito dell’incontro a vantaggio dei bianconeri, che rischiano la retrocessione. Gli offrono 7 milioni. All’epoca il Padova versa in precarie condizioni economiche e può garantire ai suoi giocatori il minimo sindacale di stipendio e un premio partita di soli 22.000 lire a punto. Vendrame accetta la proposta, pensando tra sé e sé che non sarebbe stata la prima volta che in cui avrebbe giocato male. Ma quando scende in campo i fischi dei tifosi friulani indirizzati proprio a lui, friulano rinnegato, gli fanno cambiare idea. Preferisce le 44.000 lire dei due punti che avrebbe guadagnato con la vittoria alla lauta ricompensa del corruttore. Quando la partita è sul 2-2 avvicinandosi alla bandierina del calcio d’angolo che si appresta a battere, la usa prima per soffiarsi il naso, quindi fa capire a tutti con aria di sfida quello che si apprestava a fare: un gol direttamente dal corner. Calcia il pallone e lo insacca in rete.

S come Spietatezza
Vendrame ha conosciuto molto presto la spietatezza della vita. Fin da quando, alla morte della madre, il padre dovette affidarlo a un orfanotrofio: «È feroce la vita quando ci costringe all’inesorabile spietatezza di non avere scelte. Ogni tanto penso al dolore che deve aver provato mio padre quando costretto dalla nostra situazione familiare mi depositò in orfanotrofio. Fu la mia prima vera morte. Avevo appena sei anni e di notte a letto facevo ancora la pipì. Non dimenticherò mai il momento in cui la sua mano si staccò dalla mia per consegnarmi al direttore di quell’inferno. Ero disperato. Con tutte le forze del mio cuore lo supplicavo di riportarmi a casa con sé. O che in quel brutto posto restasse anche lui con me, perché ero troppo piccolo per restare solo. Ricordo ancora quel suo sguardo sperduto nel volto spaventato. E la grande fatica nel dirmi la bugia che se non mi fossi trovato bene sarebbe venuto a riprendermi l’indomani. E io, che non avevo altro a cui aggrapparmi, per due giorni interi incollai tutte le mie speranze a quel cancello dove con un ultimo segno di mano mi salutò prima di scomparire. Poi capii che mi aveva mentito. Ma fino a notte fonda, quando consumata l’ultima lacrima, gli credetti. Povero papà». Continua a leggere “Alfabeto Vendrame. Omaggio a un Beautiful Loser [M-Z]”

Alfabeto Vendrame. Omaggio a un Beautiful Loser [A-L]

di Gino Cervi

Ezio Vendrame, calciatore maledetto, è morto ieri mattina, il 4 aprile 2020. Aveva 72 anni.
La sua vita di calciatore è la confutazione della sciagurata frase: «Vincere non è importante: è l’unica cosa che conta».
Questo Alfabeto è dedicato al più indimenticabile Beautiful Loser del calcio italiano.

A come Serie A
Il 3 ottobre 1971, allo Stadio Olimpico, si gioca Roma-Lanerossi Vicenza: finisce 1-0 per i giallorossi, gol di Amarildo al 75’. Nelle fila dei biancorossi, con la maglia numero 10, fa il suo esordio in serie A Ezio Vendrame. Non ha ancora 24 anni, essendo nato il 21 novembre 1947 a Casarsa della Delizia, provincia di Pordenone. Coi biancorossi del “Lane”, dal 1971 al 1974, Vendrame gioca 46 della 49 partite della sua carriera in serie A , a eccezione di tre match col Napoli. In meno di cinquanta partite in serie A, segnerà un solo gol: e non era neppure un difensore. Tanto per ribadire quello che si è scritto sopra sull’importanza, o addirittura sull’imprescindibilità del vincere.

B come Barba e capellivendrame3
Ezio Vendrame era, come si diceva un tempo, un capellone. Chioma fluente e barba incolta. Non era soltanto una moda. Leggete qui: «Nei miei tre eterni anni trascorsi nel collegio di Pordenone ai tempi delle scuole medie una volta al mese arrivavano dei disumani barbieri che avevano l’ordine di rasarci i capelli. E ogni qualvolta toccava a me, mi sentivo violentato da quelle sciagurate rapate. Invano cercavo la compassione del maniscalco di turno, supplicandolo di graziarmi almeno di qualche ciuffo. Niente. Sembrava si divertisse a mortificarmi. Durava soltanto pochi minuti quella tortura, ma bastavano e avanzavano per ferirmi nel più profondo dell’anima» (da Calci al vento, Rizzoli, 2005).

C come Casarsa (ma anche come Cimitero)
Sempre da Calci al vento (Rizzoli, 2005): «Non c’è da stupirsi se una ventina di anni fa, quando Gianni Mura mi telefonò per un’intervista, gli detti appuntamento al cimitero di Casarsa sulla tomba di Pasolini. Non avevo alternative. Avevo scelto quel luogo perché non si spaventasse. Lì almeno avrebbe trovato anche la persona più viva del paese. Ma la cosa più triste è che non ci saremmo mai incontrati se gli avessi detto di trovarci in una qualsiasi libreria del posto!».

D come Serie D (o come Dilettanti)
Dopo la disastrosa stagione al Napoli, nel 1974-75, dove l’allenatore Luis Vinicio, che l’aveva peraltro fortemente voluto, gli fa giocare solo tre partite e poi lo emargina in panchina o in tribuna per tutto il resto della stagione, per incompatibilità caratteriale, Vendrame lascia per sempre la serie A. Giocherà due anni nel Padova (1975-77), in C, e poi in D, nell’Audace San Michele Extra (1977-78) e nel Pordenone (1978-79). Le seguenti due stagioni dopo nei dilettanti dello Juniors Casarsa: qui, a poco più di trent’anni, finisce la sua carriera con una squalifica per aggressione all’arbitro.

E come Emozioni
Padova-Cremonese, partita di fine stagione del campionato di serie C. Il match si sta lentamente trascinando verso lo 0-0 finale, con l’evidente consenso non belligerante delle sue squadre in campo Vendrame decide che per lui era troppo. Prende il pallone e inizia ad avanzare verso la propria porta. I compagni, ripresisi dallo stupore, capiscono le intenzioni del compagno matto e tentano di contrastarlo. Niente da fare: lui li salta come birilli. Arrivato solo davanti al proprio portiere lo chiama all’uscita e scarta anche lui. Si ferma solo sulla linea di porta. La leggenda dice che lo aveva fatto per “salvare almeno le emozioni”. Un’altra leggenda – o forse no – racconta che sugli spalti dell’Appiani, un tifoso muore di emozione, e d’infarto. Quando glielo riferiscono, Vendrame risponde: «Mi chiedo come sia possibile che qualcuno debole di cuore ancora decida di venirmi a vedere giocare».

F come Figurine Panini rizzato
Nel campionato 1967-68, un Vendrame ventenne è tra le riserve della SPAL che gioca in serie A. Non scenderà mai in campo, ma per un errore compare nell’album di Figurine Panini, a fianco di Edy Reja. Il nome e la scheda infatti sono quelli del compagno di Gildo Rizzato, ma la foto, capelli corti e sbarbato, è proprio la sua. Per il povero Gildo una beffa: non gli sarebbe mai più capitato di finire in un album di figurine Panini. Continua a leggere “Alfabeto Vendrame. Omaggio a un Beautiful Loser [A-L]”

Portieri volanti (e rossoneri)

di Michele Ansani, Gino Cervi, Gianni Sacco, Claudio Sanfilippo

Il maglione giallo di Albertosi
Vorremmo evitare che qualcuno ricordi Ricky Albertosi solo per il suo coinvolgimento nel Totonero e nella vicenda che spalancò il baratro della serie B. Corre l’obbligo di sottolineare come sia stato probabilmente (anche se a Milanello arriva già trentacinquenne) il più forte portiere rossonero. Per fisico, tecnica, talento, spettacolarità, sfrontatezza. Il suo maglione giallo rimane un’immagine iconica nell’album milanista (quasi come la foto che ritrae in primo piano Vecchi in una amichevole precampionato dove, sullo sfondo, compare Albertosi in tenuta da gioco che serenamente fuma in panchina).milan
Per Ricky vorremmo enfatizzare la conquista della Stella come il coronamento di una carriera straordinaria e non come l’inizio della fine, il preannuncio dell’inclemente sipario che lo costrinse a rinunciare all’ingaggio da parte del Cosmos di Pelè e lo portò a parare i rigori tirati dal pubblico nell’intervallo delle partite degli Harlem Globetrotters.

«Giovanni, addio e grazie»
Vorremmo evitare che qualcuno ricordi Giovanni Galli (ma, sotto questo punto di vista, anche il compianto Andrea Pazzagli) solo come un ingranaggio secondario, non ritenuto fondamentale nella macchina sacchiana. Fu un portiere solidissimo e affidabile che si guadagnò l’affetto sincero della tifoseria. Non è da tutti incassare la riconoscenza delle Brigate Rossonere con uno striscione («Giovanni, addio e grazie») in una occasione così particolare come la sua ultima partita in rossonero che era anche la finale di Coppa dei Campioni al Prater di Vienna, quando i pensieri avrebbero potuto volare da un’altra parte. Continua a leggere “Portieri volanti (e rossoneri)”