Super Mario agro. O Super Mario Bianciardi

di Francesco Savio

21 settembre 2019, giornata 4: Udinese-Brescia 0-1

Sono andato con Antonio a prendere un aperitivo da Madama. È un ex commissariato di polizia, mi hanno detto. Adesso un locale nel quale ci sono anche dei letti a castello per dormire, non si sa mai. I tavoli in legno rotondi, fuori. Qualcuno che lavora al computer mentre beve un drink, non ho mai capito quelli che lavorano al bar bevendo un drink. Che lavoro fanno? Guardano invece le ragazze che entrano ed escono? Come dargli torto. Lavorare meno, lavorare tutti. Non lavorare, sarebbe anche meglio. Ed essere retribuiti. Una forma di assistenzialismo culturale diffuso e definitivo, ho detto ad Antonio. Non per indole scansafatiche, ma per avere più tempo a disposizione per leggere, scrivere, ammirare il bello. Vai in Posta a fine mese, e ritiri i tuoi soldi. Vale per tutti gli italiani caratterizzati da reddito basso, famiglia da mantenere, una certa e riconosciuta inventiva artistica. Incontri gli altri fuori dalla Posta.


«Che fai?»
«Niente, lo sai. Non poniamoci ogni volta le stesse domande. È riduttivo e frustrante. Nessuno di noi deve lavorare, funziona così, ci rechiamo in Posta a fine mese e ritiriamo il nostro stipendio, andiamo da Madama a bere uno spritz, a fare finta di lavorare con il computer, a guardare le ragazze.»
Antonio mi ha ascoltato con attenzione, quel tipo di attenzione leggera e nascosta che di solito mantieni quando stai bevendo uno spritz, ma vedevo che non era convinto. Questa idea di assistenzialismo culturale per i più meritevoli, insostenibile per il Sistema-Paese. Sono arrivate tre ragazze e si sono sedute al nostro tavolo rotondo. Non le abbiamo guardate, siamo felicemente sposati, io e Antonio. Non fra di noi. Le altre donne tendenzialmente ci disgustano. Una delle fanciulle, però, almeno non era banale. Leggeva La vita agra, anche se per caso, o per pudore, aveva appoggiato il libro sul cerchio di legno in modo che la copertina non fosse visibile. Poco male, quando la lettrice e le amiche si sono alzate per andare a prendere qualcosa da mangiare al banco interno al locale, ho girato il libro con felina e indifferente rapidità, era Luciano Bianciardi. Ho pensato: brava, bene. È il mio mestiere, faccio il libraio, devo sapere. Cosa leggono gli altri, e perché. Stavamo finendo il discorso relativo al finanziamento degli artisti in difficoltà economica, quando da Madama è arrivato Super Mario. Con una Lamborghini Aventador. Sobriamente, al termine del rombo motorizzato, è sceso dalla vettura che pompava musica rap. Si sono girati, tutti. Anche lei che leggeva La vita agra. Perché quando Mario arriva in un posto, tutti, presunti intellettuali o ignoranti non importa, muovono la testa nella sua direzione e dicono: «Guarda, ma quello non è Mario?».

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Bianciardi, il ritiro e la bonazza

di Silvano Calzini

Un racconto sul calcio di Luciano Bianciardi vale sempre la pena di leggerlo. Si intitola Il ritiro ed è contenuto nella raccolta La solita zuppa e altre storie pubblicato nel 2003 dalla Bompiani. In realtà però uscì la prima volta nell’aprile del 1969 su «Kent», una di quelle riviste erotiche che ebbero un certo successo negli anni Sessanta sfidando le ire della Chiesa e della buoncostume e che ogni tanto qualche magistrato zelante faceva sequestrare. Kent«Kent», fondata nel 1967 dall’editore Sergio Garassini che qualche anno più tardi darà vita anche a «Cronaca Vera», presentava donnine mezze nude e un po’ di cultura. Il sottotitolo della testata parlava chiaro: «Mensile per gli uomini». Tra i collaboratori, oltre a Bianciardi, anche Gian Carlo Fusco, Mario Soldati e Gianni Brera che proprio su quelle pagine presentò a puntate Il corpo della ragassa, che in seguito uscirà per la Longanesi.
La collaborazione di Bianciardi a «Kent», ma anche a «Playmen» e a «Le Ore» va interpretata da un lato come una sincera presa di posizione a favore delle battaglie civili per la libertà sessuale e contro la censura e dall’altro come una prova di quella sua naturale vocazione per la dissipazione del proprio talento che lo porterà dritto dritto sulla via dell’autodistruzione.

Per tornare a Il ritiro, c’è il calcio giocato con il protagonista-narratore, un fior di mediano con quasi duecento presenze in serie A e sedici in nazionale; c’è il solito codazzo di supertifosi più o meno eccellenti, quelli sempre presenti in tribuna centrale e nelle occasioni mondane; c’è la bonazza di turno che prende per mano il nostro eroe un po’ bamboccione e lo introduce alle gioie della carne. Ma in agguato ci sono anche i Mister, spalleggiati da certi medici che la sanno lunga, con le loro teorie sulla concentrazione della squadra che va difesa contro tutti e contro tutto, e in particolare contro il sesso, il nemico mortale che fa disperdere le preziose energie psico-fisiche dei “ragazzi”.
Solo il ritiro può preservare i nostri campioni dalle tentazioni. A quanto pare quella cosa lì prima della partita non la si può fare perchè rischia di minare il rendimento in campo, dopo la partita non la si può fare perché c’è da smaltire lo stress della gara e durante la partita non ne parliamo neanche. Insomma, una vitaccia. Così il nostro mediano se ne sta chiuso in un una stanza d’albergo dal venerdì a tutto il lunedì e passa le notti con gli occhi sbarrati a pensare alla sua biondona. Il bello è che poi se alla domenica non corri e non tocchi palla i giornalisti cominciano a parlare di “dolce vita”. Che ci provassero loro.

 

Libri volanti #3 – Il fuorigioco mi sta antipatico

di Silvano Calzini 9788872269596_0_0_300_75

Calcisticamente parlando il 1970 è stato un anno memorabile. A fine aprile il Cagliari di Gigi Riva vince il campionato, conquistando uno scudetto il cui valore simbolico ha travalicato i confini dei campi di calcio. A giudizio di molti è con quella vittoria che la Sardegna ha spezzato in modo definitivo le catene del suo isolamento ed è entrata a far parte a pieno titolo dello Stato italiano. A giugno, ai Mondiali in Messico, la nazionale azzurra riscatta una serie infinita di fallimenti e delusioni e con la leggendaria semifinale contro la Germania fa impazzire tutta l’Italia. E come se non bastasse a fine settembre Gianni Brera sospende la sua rubrica di posta sul «Guerin Sportivo», quello vero, novecentesco, che usciva nel formato lenzuolo dei quotidiani di allora, e cede il posto a Luciano Bianciardi, che raccoglie il testimone e comincia a rispondere ai lettori alla sua maniera.

Il fuorigioco mi sta antipatico è la raccolta di quella rubrica, con le domande dei lettori e le risposte di Bianciardi, che prende la palla al balzo e parte dal calcio e dallo sport per parlare di tutto quello che gli pare. Da Rivera al divorzio, da Facchetti al Risorgimento, da Nereo Rocco a Fanfani, da Helenio Herrera a Giorgio Bassani e così via. Senza freni e senza limiti. Come piaceva a lui.
Nelle risposte ai lettori Bianciardi parla di tutto: sport, letteratura, storia, cinema, politica, sesso. Basta aprire il libro a caso e leggere. Per esempio a pagina 42, rispondendo a tale Angelo Comini di Salerno, come se fosse niente ti mette lì una palla con il contagiri che neanche il miglior Rivera: «Lei sa chi fosse il povero Jack Kerouac, vero? Ebbene Giancarlo Fusco, obiettivamente, lo contiene tre volte, con l’avanzo di due. Solo che Fusco le cose più belle non le scrive, le racconta al caffè». Continua a leggere “Libri volanti #3 – Il fuorigioco mi sta antipatico”