Ciao_L’Italia del Novanta_30 giugno

di Antonio Gurrado

30 giugno 1990

Gioca l’Italia. Il Gran me trova il Piccolo me sempre nella solita casa di amici, a riprova della rapidità con cui attecchiscono le tradizioni nei tempi di estremismi emotivi; la novità è che da stasera il Piccolo me è decorato, al collo, da un fazzoletto tricolore venduto in allegato con chissà quale giornale, e assurto immantinente a tacito portafortuna. E la porta: passa una mezz’oretta di tranquillo dominio contro l’Irlanda quando Donadoni tira una lecca da distanza ragguardevole, a cui Pat Bonner non può opporsi che approssimativamente. Lì vicino, dove la palla rimbalza, c’è già Schillaci pronto in agguato che ribadisce in rete senza meno.

È sempre in agguato Schillaci, è sempre lì dove la palla rimbalza; sembra che la Storia, con l’iniziale maiuscola per darsi un tono anche sui campi da calcio, lo abbia eletto a incarnazione di congiunzioni favorevoli, a signor Bonaventura di circostanze astratte più elevate di lui, ma in cui s’insinua perfettamente. signor-bonaventura-49Questo almeno è il senso del pensiero che pervade il Piccolo me, a nove anni e mezzo, ancora incapace di esprimerlo a parole ma ancora capacissimo di emozioni cristalline, non sfibrate dall’età adulta. Allora però il Gran me gli posa una mano sulla spalla, per avvertirlo mentre impazza tutt’attorno l’esultanza, dalla casa d’amici alle strade allo stadio Olimpico.

Gli dice: «Tu non lo sai ancora ma Oscar Wilde diceva, ben a ragione, che la Storia è un calendario di delitti; e, i delitti, più sublimi sono più richiedono preparazione. Ciò per cui stai esultando adesso è l’evento sbagliato, se considerato sub specie aeternitatis. Ma la Storia è tessitrice talmente subdola da averti illuso, questo pomeriggio, mostrandoti Maradona soccombente di fronte al portiere jugoslavo, che gli ha parato un rigore; insufficiente a evitare la vittoria dell’Argentina dal dischetto ma comunque ciò che ti è parso un segno. La Storia oggi ti sembra dalla parte di Schillaci, e la debolezza pomeridiana di Maradona rifulge come la promessa di un rovesciamento delle sorti fra il principe e il povero, il patriarca dei fuoriclasse e il siculo dagli occhi sbarrati che solo un mese fa era quasi sconosciuto ai più. Non ti rivelerò il risultato della semifinale con l’Argentina, a nove anni e mezzo hai ogni diritto di godertela come io di riguardarla sperando ogni volta in un colpo di scena; ma fra qualche mese in Iraq un contingente italiano sarà fermato a un posto di blocco (ci sarà una guerra, in Iraq) e, quando i miliziani controlleranno i passaporti, li restituiranno facendo passare i soldati al grido di Italia, Schillaci very good! Perché si sentiranno dallo stesso lato della Storia, che non è quello dei vittoriosi».

Ma il Piccolo me non fa in tempo a sentire queste ultime frasi: forse fomentato dalla vista del tricolore, un amico di famiglia lo afferra, lo solleva, lo fa volteggiare in un’esultanza incontenibile che poco ha a che fare con la vittoria semisofferta contro la di per sé modesta Eire (nel secondo tempo forse Schillaci segna su punizione; dalla traversa la palla rimbalza sulla linea ma nessuno capisce da che lato) e molto riguarda la consapevolezza che quello snodo, quel rimbalzar di palle lì dove Schillaci è sempre presente a ficcarle dentro, sia il segno inequivocabile della destinazione della Storia, fomentato dal commentatore tecnico che in tv dice, illuso: «Ancora una volta Schillaci s’è trovato al posto giusto».