Il venticinque settembre duemilaeventi, sul far del giorno, il tifoso italiano aprì il giornale per considerare un momentino la situazione del calcio in Italia. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. A pagina tre si allenavano uno Juventino o due; qualche pagina dopo, un nerazzurro, forse Atalantino, si sottoponeva a una seduta di crioterapia. Si disegnavano negli articoli successivi le sagome sfatte di qualche dritto Milanista, gran Napoletano, vecchio Romanista, ignoto Interista. I Veronesi bevevano Valpolicella.
Il tifoso sospirò pur senza interrompere l’attento esame di quei fenomeni consunti.
Gli Spezzini cucinavano speziato, i Fiorentini fumavano toscanelli, i Genoani disegnavano ingrifati, i Beneventini facevano aria, i Parmigiani stagionavano negli spogliatoi.
«Tutta questa storia,» disse il tifoso a se stesso «tutta questa storia per un virus regale, per un contagio un po’ fuori dalle righe: che miseria. Non si troverà mai via d’uscita?»
Affascinato, continuò per alcuni minuti a osservare quei rimasugli che resistevano allo sbriciolamento; poi, senz’alcuna ragione apparente, lasciò il suo giornale sportivo e si alzò, cercando di dare sfogo al suo umore cioè alla voglia che aveva di picchiare qualcuno.
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[Il pezzo sopra è un piccolo omaggio a Raymond Queneau e al suo romanzo I fiori blu, che comincia proprio il venticinque settembre di settecentocinquantasei anni fa. (G.R.)]