di (forse) Raymond Queneau
C’era oggi sull’autobus, proprio accanto a me, sulla piattaforma, un calciatorucolo come pochi – e per fortuna, che son pochi, altrimenti un giorno o l’altro ne strozzo qualcuno.
Ti dico, un medianaccio di venticinque o trent’anni, e m’irritava non tanto per quel suo parastinco, fosforescente, quanto per la natura della fascia dei capelli, ridotta a una cordicella color singhiozzo di pesce. Il calciatorello gaglioffo!
Bene, c’era abbastanza gente a quell’ora, e ne ho approfittato: non appena la gente che scendeva e saliva faceva un po’ di confusione, io tac, gli rifilavo il gomito tra le costolette. Ha finito per darsela a gambe, il giocatorello vigliacco, prima che decidessi a premere il pedale sui suoi fettoni e a ballargli il tip tap sui tacchettini santi suoi! E se reagiva gli avrei detto, tanto per metterlo a disagio, che alla sua maglietta troppo attillata si stava per staccare un numero. Tié!
[Raymond Queneau è stato scrittore, poeta, saggista, matematico, enigmista e forse anche calciatore. Il qui presente racconto si candida a essere il centesimo esercizio di stile, prendendo spunto dai novantanove pubblicati da Gallimard nel 1947 e tradotti da Umberto Eco per Einaudi nel 1983.]